
Mi capita, a volte, soprattutto mentre preparo la rassegna stampa in vista del rewind mensile, di distrarmi dalle notizie e concentrarmi su titoli. Non quelli buffi che finiscono nelle bacheche delle edicole di paese e poi sui social, né quelli coi doppi sensi che una volta si andavano a cercare le redazioni di Mai Dire Gol o quel kautskiano che conduce quel programma insopportabile su La7. Parlo di notizie vere, serie o facete, titoli di articoli che non si capisce perché finiscano sui giornali, altri ancora sgrammaticati, soprattutto nella mancanza di punteggiatura, oppure così enigmatici da lasciar immaginare la trama di un romanzo.
«Punizione» per uno squillo alla sua fidanzata: spari contro ragazzi, ferito uno che non c’entra. (il corriere del mezzogiorno, 14 febbraio)
Si ferma il cuore di una donna: i carabinieri la salvano praticandole il massaggio cardiaco (il corriere del mezzogiorno, 14 febbraio)
La fine delle relazioni nell’era di Internet e dell’IA: i termini da conoscere secondo Babbel (il mattino, 14 febbraio)
Sanremo, Bennato copre con del nastro adesivo nero la marca delle sue scarpe (la repubblica napoli, 14 febbraio)
La conquista del titolo nobiliare e l’ascesa sociale sono temi frequenti nelle commedie di Eduardo Scarpetta e di suo figlio Vincenzo, tantopiù che l’intera carriera di quest’ultimo soffrì dell’ingombrante ombra del padre, prima, e del successo del fratellastro Eduardo De Filippo, dopo. Una delle commedie più belle di Vincenzo è ‘O tuono ‘e marzo, dove Turillo, un “monnezzaro” che si è conquistato grazie a un atto di coraggio una posizione di maggiordomo, si finge padre prima di una ragazza conosciuta per caso e poi del “signorino” per cui lavora, prendendo, fino a che non viene scoperto, il controllo della sua casa e delle sue ricchezze.
Don Teodoro: La signorina Giulietta Spina, vostra figlia! Vostro padre, il signor… Comme te chiamme, tu?
Turillo: Turillo Scarola.
Teodoro: Turil… Ehmmmm, Salvatore Scarola.
Giulietta: Don Teodo’, ‘stu Scarola, ‘a verità… Ije po’ m’aggia chiamma’ Giulietta Scarola?
Teodoro: E che volete farci, quanno chillo è ‘o cugnome… Si dovrebbe vedere di aggiustare un poco…
Turillo: Vulesseme accuncià cu Salvatore Lattuga, è più delicato?
Giulietta e Teodoro: Ma no!
Turillo: Salvatore Incappucciata?
Giulietta e Teodoro: No!
Turillo: Signuri’… vulesseme fa’ Salvatore broccoletti di rape?
Teodoro: Ma no, statte zitto! (A Giulietta) Ma scusate, voi poi vi sposate e prendete il cognome di vostro marito. Che ve ne importa? Del resto, poi potete fare anche un’altra cosa: davanti al cognome ci mettete un titolo a piacere vostro… Marchese, per esempio! Il marchese Salvatore Scarola!
Turillo: (ridendo) Mo so’ pure marchese!
Teodoro: E sì, così è più pulito, più nobile.
In questa settimana mi è capitato, come credo anche ai più ostici suoi oppositori, di imbattermi in alcune canzoni – a dire il vero tutte modeste – del Festival di Sanremo. Qualcuno mi ha parlato di Brunori Sas (l’unica serata che ho passato a casa davanti alla tv è stato lui a farmi cambiare canale, invogliandomi a virare su un più allegro Hitler), di Marcella Bella fan della Meloni, e dei Modà, che pare piacciano molto alle signore nate tra il 1950 e il 1970. Non sono mancati gli omaggi e le strizzatine d’occhio al passato, come Amarcord (Sarah Toscano), Demoni (Emis Killa) e Anema e core (Serena Brancale).
Non tutti sanno che proprio Anema e core, canzone di D’Esposito e Manlio (1950), detiene una serie di record nella storia della musica leggera nazionale, tra cui il maggior numero di incisioni: cinquantotto in Italia, senza contare le numerose versioni straniere (tra cui la danese Det skjønneste på jord). Il titolo della canzone doveva essere inizialmente ‘Na matenata ‘e sole, ma i due autori decisero di cambiarlo all’ultimo momento, dopo l’inatteso successo di un altro loro brano che sempre aveva il sole nel titolo (Me so’ mbriacato ‘e sole).
Negli anni Cinquanta Anema e core fu trasmessa più volte anche da Radio Mosca (prima trasmissione di una canzone italiana dall’inizio della Guerra fredda), su richiesta in particolare di Sukhan Babayev, che sosteneva di averla sentita cantare a Pietro Nenni. Babayev fu segretario generale del Partito comunista del Turkmenistan dal 1951 al 1958, quando fu fatto fuori per le sue richieste continue di maggior rappresentatività per i curdi nel governo sovietico.
Il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan ha lanciato dichiarazioni incendiarie contro i curdi nel nord-est della Siria, promettendo la loro “distruzione” con il sostegno del governo di Recep Tayyip Erdogan. […] Prima di diventare ministro degli esteri, Fidan è stato il capo dei servizi segreti turchi, una posizione che lo ha reso il braccio destro di Erdogan nelle operazioni più oscure e controverse. Tra queste […] il presunto invio di camion carichi di armi ai miliziani dell’Isis, proprio mentre il gruppo terroristico si trovava nel pieno della sua fase di terrore e brutalità, filmando decapitazioni e stermini di massa. […] Oggi Fidan siede al vertice della diplomazia turca, mentre la Turchia continua a destreggiarsi in una doppia faccia tra alleato Nato e attore sempre meno prevedibile nello scacchiere mediorientale. Nel nord-est della Siria le forze curde […] hanno liberato Kobane e Raqqa, la capitale de facto del califfato, e hanno pagato un prezzo altissimo in termini di vite umane per sconfiggere un nemico comune. Oggi queste stesse forze sono nuovamente sotto attacco, da parte della Turchia, che le considera un’estensione del PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, ritenuto un’organizzazione terroristica da Ankara. (giuseppe gagliano, kurdistan siriano. fidan vuole distruggere i curdi)
Un paio di grandi titoli sono, invece, quelli di libri usciti di recente, o di recente finiti in top ten. Il primo è Vipera, di Ilaria Salis; poi Atti umani, di Han Kang, che dicono essere anche un bellissimo romanzo; Le vere cause del conflitto russo-ucraino, di Vladimir Putin, Dolore e furore, di Luzzatto (anche questo da leggere) e infine Craxi. L’ultimo grande politico, di Aldo Cazzullo.
Chiudo raccomandando uno spettacolo entusiasmante che ho visto qualche sera fa al Piccolo Bellini. Si chiama Ex. Esplodano gli attori, testo del regista e drammaturgo uruguaiano Gabriel Calderón, tradotto da Teresa Vila e portato in scena con la direzione di Emanuele Valenti.
Dittatura, lotta armata, famiglia e società, amore e rabbia, desiderio e autolesionismo ci sono dentro, ma non è questo il punto, ora, quanto il titolo. La preposizione ex, in latino (ma chissà se è questo il riferimento più sensato), implica una gamma ampissima di movimenti e azioni, compreso il tirar fuori “da” o il buttar “fuori”. Se dovessi iniziare dicendo qualcosa, o se dovessi finire dicendo qualcosa, sarebbe la stessa cosa – afferma, parola più parola meno, la protagonista all’inizio della rappresentazione. Si noti a margine anche che il regista di Ex fa parte di un piccolo gruppo di amici che mi hanno stroncato il titolo di un romanzo ancora non scritto e che forse, a questo punto, non scriverò mai.
(a cura di riccardo rosa)