Uno dei primi programmatori a firmare i videogiochi

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Uno dei primi programmatori a firmare i videogiochi

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L’11 febbraio è uscito Civilization VII, il settimo capitolo della popolarissima saga di videogiochi strategici a turni Civilization: era un gioco molto atteso, anche perché il sesto titolo della serie era uscito nel 2016, nove anni fa. Anche questa volta, come nel caso di tutti i capitoli precedenti, il titolo completo è Sid Meier’s Civilization VII: il riferimento è al creatore iniziale della saga, Sid Meier, che ormai ha poco a che fare con lo sviluppo dei nuovi titoli, ma il cui nome contribuisce ancora ad attirare l’attenzione sui nuovi giochi a cui è associato.

Meier e il suo socio storico, Bill Stealey, sono stati tra i primi a riconoscere che i creatori di videogiochi potessero avere la stessa dignità autoriale di uno scrittore o un artista e a comportarsi di conseguenza, lavorando per creare un’associazione tra il nome di Meier e uno specifico tipo di gioco. In particolare, oggi il suo nome è sinonimo di un gioco che si gioca al PC, che fornisce ai giocatori tantissime opzioni tra cui scegliere per creare l’esperienza di gioco che si preferisce, che rifugge la rappresentazione della violenza fisica, e che è abbastanza magnetico da convincere le persone a non staccarvisi per ore. Civilization resta senza dubbio la sua creazione di maggior successo: tra le altre cose, ha avuto un impatto talmente forte sull’industria da portare tutti i giochi che partono da presupposti simili a essere denominati “Civ-like” (“simili a Civilization”).

Fin dal primo capitolo, uscito nel 1991, l’obiettivo di Civilization è scegliere una civiltà (come romani, mongoli o aztechi) e svilupparla al punto da farla diventare una potenza mondiale nel corso dei millenni, fondando città, inventando nuove tecnologie, alleandosi con altre civiltà, facendo la guerra o impegnandosi nel commercio.

Il settimo capitolo della saga non si allontana molto dai precedenti. Il cambiamento più notevole è che questa volta i giocatori non controllano una sola civiltà dai tempi antichi a quelli moderni: invece esistono tre ere (antichità, epoca delle esplorazioni e modernità), e alla fine di ogni era viene chiesto al giocatore quale civiltà che si è evoluta dall’era precedente preferisce controllare. Per esempio, un giocatore che nell’era “Antica” controlla i Maya potrebbe decidere di controllare gli Spagnoli durante quella dell’“Esplorazione”, e poi i messicani o gli americani nell’era “Moderna”.

Meier cominciò ad appassionarsi di informatica negli anni Settanta, quando il settore dei videogiochi era ancora agli inizi e avere un computer a casa era molto raro. Per anni sviluppò videogiochi amatoriali per le console Atari, ma cominciò a farlo in modo professionale solo a partire dal 1982, quando fondò l’azienda MicroProse insieme all’amico e imprenditore Bill Stealey. Tutti i primi videogiochi della MicroProse erano simulatori di volo: Meier ci lavorava praticamente da solo e firmava i suoi giochi, anche se il suo nome non appariva ancora nei loro titoli.

La pratica, comunque, era molto insolita per l’epoca: Atari, che all’epoca era la più grande azienda di videogiochi al mondo, vietava esplicitamente ai suoi programmatori di firmare il proprio lavoro, anche se, come racconta il New Yorker, i game designer «cominciavano a vedere sé stessi come artisti e pionieri di una nuova forma di intrattenimento». Nel 1980, per esempio, aveva fatto molto discutere la decisione di un programmatore di Atari, Warren Robinett, che aveva inserito una piccola frase che diceva “Created by Warren Robinett” in una stanza segreta all’interno del videogioco Adventure, che aveva creato. La stessa Activision, che è tuttora una grande azienda produttrice di videogiochi, nacque quando un gruppo di importanti game designer di Atari decise di lasciare l’azienda citando, tra le altre cose, il fatto che il loro ruolo nella creazione dei vari titoli non fosse sufficientemente riconosciuto.

La posizione di Meier era piuttosto diversa. Già nel 1982 l’azienda Acorn Software Products pubblicò il suo primo gioco non amatoriale – Formula 1, per Atari 400/800 – con il suo nome sulla copertina, e a lui l’idea piacque molto: «Mi sembrava che il codice potesse essere elegante tanto quanto qualsiasi altro tipo di prosa letteraria», ha scritto nella sua autobiografia, Sid Meier’s memoir! – A Life in Computer Games.

Il suo nome cominciò però a circolare molto di più tra gli amanti dei videogiochi con i simulatori di volo pubblicati per la MicroProse, che continuarono a vendere molto bene anche mentre il resto del mercato dei videogiochi, a partire da Atari, cominciava a risentire di una saturazione del mercato.

Meier, però, voleva cimentarsi anche in altri generi: così, quando nel 1987 cominciò a lavorare a un gioco completamente diverso, uno strategico che simulava la vita di un pirata nelle Americhe coloniali del XVII secolo, al suo socio, Stealey, venne un’idea. Ha raccontato:

«Bill mi chiese: “Quando uscirà il mio prossimo simulatore di volo?”. E io risposi “Non sto lavorando a un simulatore di volo, sto facendo un gioco sui pirati”. Lui mi disse: “Beh, è una follia, perché la gente sta aspettando il tuo prossimo simulatore di volo… Aspetta un attimo. Mettiamoci il tuo nome. Forse le persone a cui piacciono i tuoi giochi di simulazione di volo riconosceranno il tuo nome e si compreranno pure questa cosa folle di pirati”».

Stealey ha sempre raccontato una versione diversa della storia: «Eravamo a cena a una riunione della Software Publishers Association, e c’era anche l’attore Robin Williams. Ci ha fatto ridere per due ore. Poi si è girato verso di me e mi ha detto: “Bill, dovresti mettere il nome di Sid su un paio di queste scatole e promuoverlo come protagonista”. Ed è così che il nome di Sid è finito su Pirates e Civilization».

L’idea di Stealey, racconta Meier nell’autobiografia, serviva soprattutto come manovra di branding, ma rifletteva anche il fatto che gli appassionati cominciavano ad affezionarsi all’opera di singoli autori di videogiochi nello stesso modo in cui storicamente ci si era appassionati ad autori di libri o canzoni. E poi, Stealey aveva anche un altro obiettivo: «Per attirare le persone più brillanti e creative del settore, voleva far circolare il messaggio che MicroProse trattava i suoi game designer con l’ammirazione e il rispetto che meritavano».

Da allora, quasi tutti i videogiochi a cui ha lavorato Meier – e anche un po’ di titoli a cui ha lavorato solo in modo molto indiretto – hanno il suo nome sopra: nel 1990 uscirono Sid Meier’s Covert Action, un videogioco a metà tra strategia e azione in cui si controlla un agente della CIA, e Sid Meier’s Railroad Tycoon, un gestionale in cui si costruisce e gestisce una compagnia ferroviaria, che ebbe enorme successo e ispirò decine di imitazioni negli anni successivi; e poi Sid Meier’s Gettysburg!, Sid Meier’s Antietam!, Sid Meier’s Alpha Centauri, Sid Meier’s Alien Crossfire, Sid Meier’s SimGolf, Sid Meier’s Ace Patrol.

Da qualche anno, Meier è più a disagio di un tempo sulla decisione. «Penso che oggi produrre un videogioco richieda decisamente uno sforzo di squadra, ma era vero anche all’epoca», ha detto nel 2016. Al primo Civilization, per esempio, lavorò una decina di persone, e non solo Meier. A quelli più recenti, Meier non ha contribuito quasi per niente. «È una situazione strana per me. Penso a quel Sid Meier [che sta nei titoli dei videogiochi] come a una persona diversa da me. Ci abbiamo provato. Ha funzionato. Continuiamo a farlo, ma non sono più disposto a credere di essere quella persona. Lo giustifico dicendo che rappresenta un certo approccio ai videogiochi, un certo stile di design».

Negli anni seguenti, vari altri game designer hanno seguito una strada simile, scegliendo di associare il proprio nome ai videogiochi a cui lavorano: è il caso di Will Wright, che ha creato molti dei videogiochi della saga The Sims, ma anche di Hideo Kojima (Metal Gear Solid e Death Stranding) e John Romero (Wolfenstein 3D, Doom e Quake). E, in generale, la figura dell’autore di videogiochi ha cominciato a essere molto più riconosciuta: attorno a Intergalactic: The Heretic Prophet, per esempio, c’è un’enorme attenzione non tanto per il gioco in sé, ma per il fatto che ci sta lavorando Neil Druckmann, autore delle apprezzate serie di videogiochi The Last of Us e Uncharted, e ci si aspetta che anche il gioco nuovo avrà delle qualità simili ai suoi titoli precedenti.

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