
Sabato primo marzo 2025, Messina è stata attraversata dal Carnevale No Ponte. Contro la costruzione di una grande opera figlia di “un’idea di progresso che se ne infischia delle nostre vite: estrae valore dai territori a costo di devastarli, li sottrae ai bisogni e ai desideri degli abitanti per far guadagnare i pochi soliti noti”, come si scriveva nella chiamata al corteo.
Nella zona sud di Messina, all’altezza di Giampilieri, a novembre è stato aperto un nuovo cantiere di raddoppiamento ferroviario, strettamente collegato al futuro progetto di costruzione della grande opera. L’appalto di RFi è gestito dal Consorzio Messina Catania Lotto Nord, di cui fa parte Webuild, la società a cui sono stati affidati anche i lavori per il ponte sullo stretto. Nei cantieri aperti precedentemente, quello tra Contesse e Villaggio Unrra e quello di Nizza di Sicilia, sempre finalizzati al raddoppio della linea ferroviaria Messina-Catania-Palermo, prima a ottobre e poi a febbraio sono state poste sotto sequestro ampie zone per via della dannosa gestione dei materiali di risulta scaturiti dagli scavi. Durante i lavori sono infatti emersi materiali con elevate concentrazioni di arsenico, contenute naturalmente nei monti Peloritani, che a causa dell’inadeguata copertura dei vasconi di stoccaggio da parte della società competente del cantiere sono poi confluiti, complici le piogge, all’interno del suolo e delle falde acquifere sottostanti. Le stesse che portano acqua nelle case circostanti.
L’ombra del ponte è già qua. Per questo si è scesi in piazza, per ribaltare lo scenario dell’estrazione che risucchia la vita, del progresso devastatore, dei decreti legge che vorrebbero reprimere il dissenso. Si è scelto di farlo sfruttando la complicità del Carnevale, “da sempre festa popolare, eretica, liberatrice, che dissacra, rovescia e si fa beffe del potere: la festa del tempo che tutto distrugge e rinnova”. Tra musica e colori, i muri hanno preso a parlare, le voci dei manifestanti hanno gridato la loro opposizione a tutte le forme di estrazione compulsiva e di progresso tecnologico che uccidono e mortificano esseri umani in ogni angolo di mondo.
Quando il corteo ha raggiunto l’incrocio tra via XXIV maggio e viale Boccetta ci si è trovati di fronte a uno schieramento della celere, posto a difesa del tratto interdetto dalla questura di Messina per via della presenza della caserma dei carabinieri, considerata come presunto obiettivo sensibile. È bastato il lancio di un paio di petardi a scatenare la prima carica, nonostante il corteo fosse rimasto all’interno del percorso prestabilito. Così di nuovo lungo viale Boccetta. Un gruppo della celere si è distaccato per inseguire e menare a colpi di manganello i manifestanti che transitavano sulla corsia del viale adiacente all’incrocio con via Concezione, dove insiste l’ingresso della caserma. Una ragazza è stata travolta e calpestata in questa intollerabile caccia agli esseri umani. Ma tutto ciò non basta a descrivere la messa in scena dello spettacolo di pratiche di militarizzazione e repressione di ogni forma di dissenso, figlie degli ultimi decreti e dei progetti di “zone rosse”.
Passate circa due ore dall’arrivo a piazza Casa Pia, punto conclusivo del corteo, l’ultimo gruppo di manifestanti, composto da una cinquantina di persone, ha preso la via del ritorno verso casa. Parallelamente, si sono mossi una ventina di uomini e donne della Digos, scortati da una camionetta della celere, che erano rimasti lì ad aspettare lo scioglimento del gruppo per far partire una randomica caccia all’uomo. Nel momento in cui, infatti, si è tentato uno sparpagliamento in piazza Antonello, la Digos ha inseguito, subito raggiunta dalla celere, un ragazzo che ha tentato di mettersi al riparo all’interno di Galleria Vittorio Emanuele III. La galleria era stracolma di adolescenti che trascorrevano lì il sabato sera. Il surreale slalom aperto dal ragazzo con la Digos alle calcagna e seguito da compagni e compagne, accorse per difenderlo, con la celere addosso si è bloccato su un ballatoio laterale della galleria. Stretti tra i cancelli e il porticato, tra manganellate e colpi di scudo, si è riusciti a liberare il compagno dalla presa della polizia e a lasciare la galleria con un’unica voce: “tout le monde déteste la police”. I ragazzi e le ragazze, assorte tra un hamburger e una birra, hanno assistito esterrefatti a questo gratuito terrore seminato dalle forze dell’ordine. Qualcuno sarebbe potuto cadere dal ballatoio, ci si sarebbe potuti rotolare l’una addosso all’altra durante l’inseguimento, chiunque avrebbe potuto rimanere preda di un attacco di panico vista la densità umana del luogo. Mi è rimasta impressa una donna che si è schierata insieme a noi nel tentativo di fermare la celere dal menare a caso e dal detenere il compagno, gridando “non toccate le ragazze, non toccate i ragazzi”. Urlava anche che era la preside di una scuola, chissà se il lunedì successivo ha raccontato questa storia ai suoi studenti.
Ci sono riusciti, poco dopo, su via XXIV Maggio, a catturare un compagno e una compagna, cioè a fare i numeri che servivano per tenere vivo lo spettacolo della criminalizzazione del dissenso. Siamo rimaste in presidio sotto la questura di via Placida in attesa del loro rilascio, circondati da due cordoni della celere. Le due compagne sono state rilasciate verso le tre di notte. Un labbro spaccato, numerosi schiaffi e violenze verbali, una denuncia per resistenza e una per detenzione di un coltellino svizzero.
Diffondiamo questo breve racconto affinché si possa conoscere sempre più la violenza delle forze dell’ordine e l’opera di criminalizzazione messa in atto dall’impianto statale tutto. (osservatorio stelle filanti)