A Bologna il decreto sicurezza entra a scuola dalla porta principale

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A Bologna il decreto sicurezza entra a scuola dalla porta principale
(disegno di otarebill)

Negli anni Novanta veniva chiamata “novembrite”, un neologismo tutto interno al mondo della scuola, che indicava quel periodo in cui si moltiplicavano in tutto il paese, le proteste e le occupazioni degli istituti. Oggi, dopo anni di riforme e decreti sempre più restrittivi, si è arrivati alla concessione da parte dei presidi, della settimana dello studente; un rito stanco che prevede un paio di giorni in cui la didattica tradizionale viene sostituita da attività ricreative miste a noiose conferenze.

Non è così in tutta Italia, tantomeno a Bologna, dove gli studenti dello storico liceo classico Minghetti, promuovendo uno stato di agitazione basato su contenuti chiari, sono arrivati a occupare la scuola. Lo scorso 18 marzo hanno convocato un’assemblea nel cortile della sede centrale del liceo e hanno proclamato l’occupazione della scuola. Forte la volontà di “esprimere il dissenso al piano per il riarmo europeo, al Ddl sicurezza, alla riforma della scuola Valditara e alle complicità del nostro governo con la pulizia etnica in corso contro il popolo palestinese”.

Dopo alcune “positive interlocuzioni”, come aveva dichiarato la stessa dirigenza, che spingeranno quest’ultima ad accettare i quattro giorni di occupazione e la sospensione dell’attività didattica, gli studenti vengono a sapere leggendo i giornali, alla fine dell’occupazione, di denunce penali e provvedimenti disciplinari. Il collegio docenti ha votato infatti quasi all’unanimità la mozione della dirigenza con l’indicazione ai consigli di classe (l’unico organo collegiale deputato a deliberare in questa materia) di sospendere con 6 in condotta gli studenti denunciati. Sempre da fonti stampa gli studenti vengono a sapere che il preside ha inoltre sporto denuncia per interruzioni di pubblico servizio a carico di cinque tra loro che hanno partecipato alla mobilitazione. Tali denunce non sono “contro ignoti”, come da prassi consolidata per le occupazioni scolastiche, ma segnalano nomi e cognomi all’autorità giudiziaria. Seppure non pubblicata, arriva a qualche rappresentante d’istituto anche una lettera firmata da alcuni docenti del liceo, in cui si parla di “ennesima azione illegale, violenta e antidemocratica” da parte di una “minuscola minoranza di studenti”, come a lasciare intendere che il liceo Minghetti sia teatro ricorrente di comportamenti fuori controllo, addirittura illegali, da parte di studenti estremisti.

Preoccupati da queste comunicazioni indirette, circa duecento genitori riescono in poche ore a convocare una riunione on line e decidono di pubblicare una lettera che in meno di mezza giornata verrà firmata da più di cinquecento genitori. Nella lettera, indirizzata alle istituzioni scolastiche e politiche cittadine, esprimono forte preoccupazione per le recenti decisioni della dirigenza scolastica e del collegio dei docenti, poiché queste “rischiano di compromettere seriamente il patto educativo su cui si fonda la comunità scolastica”.

D’altronde, scrivono i genitori, poco chiaro è perché sia stato segnalato alla magistratura un numero ristretto di studenti per un’azione collettiva che ha coinvolto centinaia di ragazze e ragazzi – probabilmente i denunciati, i cui nomi non sono ancora stati resi pubblici, sono proprio gli studenti che hanno cercato il dialogo con la dirigenza, ovvero coloro che hanno voluto assumersi la responsabilità di favorire un confronto, il che confermerebbe l’utilizzo delle sanzioni come una forma di repressione della libertà di parola e di protesta.

In poco tempo, si solleva così in città un dibattito che porta alla richiesta di un’interrogazione parlamentare al ministro dell’istruzione e del merito e a un appello degli studenti del liceo Minghetti per chiedere supporto alla loro richiesta alla scuola di ritirare le sanzioni disciplinari, che trova il consenso, in poche ore, di più di diecimila firmatari.

Eppure, arriva a pochi giorni dalla fine dell’occupazione la conferma della presa di posizione: “A occupazione terminata il collegio dei docenti, riunitosi martedì 25 marzo, a larga maggioranza ha ritenuto opportuno invitare i consigli di classe interessati a sanzionare studenti e studentesse identificabili come organizzatori dell’occupazione con tre giorni di sospensione, convertibili in lavori socialmente utili, e con il voto di 6 in condotta, che nei termini dell’attuale normativa prevede ‘l’assegnazione di un elaborato critico in materia di cittadinanza attiva e solidale’ da presentare in sede d’esame per gli studenti delle classi terminali e all’inizio dell’anno scolastico successivo per gli altri. […] Una sanzione moderata e dal valore educativo, ben più mite di quella prevista dal regolamento. L’intento del collegio docenti, non certo punitivo in senso reazionario, ma fermamente fondato su principi educativi, è stato quello di valorizzare in chiave di cittadinanza il rapporto tra le proprie azioni e le conseguenze che ne derivano e di promuovere il senso del limite come strumento di maturazione e di crescita”.

Il 17 aprile viene convocato presso il liceo Minghetti un consiglio di istituto. Una settimana prima alcuni consigli di classe avevano scelto di ritirare le denunce disciplinari; a due studenti, però, in un consiglio di classe che ha svolto le veci di un vero e proprio tribunale vengono confermate le condanne; tutto ciò mentre le cinque denunce penali, viene annunciato nel consiglio di istituto, seguiranno il loro corso. In questo modo, per ragioni in buona parte sconosciute, sette studenti andranno incontro, nella loro giovane età, a indagini e processi, pagando il costo per centinaia di studenti che hanno partecipato all’occupazione.  

Il “caso Minghetti” fa subito scuola. Nell’istituto Majorana di San Lazzaro di Savena, a pochi chilometri dal capoluogo regionale, su invito della dirigente scolastica viene tenuta una lezione di legalità tenuta da “alcuni rappresentanti delle forze dell’ordine”. Polizia locale e carabinieri si alternano a spiegare agli studenti “quali sono, in termini di legalità e normative, i rischi in cui possono incorrere in caso di occupazione della scuola”. Secondo loro “occupare abusivamente un istituto scolastico è un reato ed è disciplinato dall’art. 633 del codice penale”. Questo nonostante la Corte di Cassazione, il 30 marzo 2000, abbia dichiarato come “Non è applicabile l’art. 633 alle occupazioni studentesche perché tale norma ha lo scopo di punire solo l’arbitraria invasione di edifici e non qualsiasi occupazione illegittima […]. L’edificio scolastico, inoltre, pur appartenendo allo Stato, non costituisce una realtà estranea agli studenti, che non sono dei semplici frequentatori, ma soggetti attivi della comunità scolastica e pertanto non si ritiene che sia configurato un loro limitato diritto di accesso all’edificio scolastico nelle sole ore in cui è prevista l’attività scolastica in senso stretto”.

Le forze dell’ordine schierate al Majorana spiegano ai ragazzi come “chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da euro 103 a euro 1032”. In un sol colpo, la scuola pubblica abdica così alla propria funzione invocando un intervento educante di soggetti che educanti non sono per natura ma repressivi, e per giunta sottoponendo alle giovani generazioni lezioni finalizzate unicamente a creare uno stato di paura e assoggettamento. Eppure, la primaria funzione della scuola è proprio quella di educare al cambiamento, alla trasformazione, finanche alla trasgressione se utile e necessario, come ci hanno insegnato i più insigni pedagogisti, e non a una passiva subalternità a norme che vengono pure stravolte da chi dovrebbe tutelarle.

La comunità scolastica è un insieme di tasselli e di certo quelli imprescindibili sono gli studenti: senza di loro la scuola non esisterebbe. E così mentre gli adulti agitano sanzioni e rinnovata sicurezza, sempre di più non solo i dirigenti, ma anche la maggior parte del corpo docente – ed è questo che preoccupa di più – non comprendono come di fronte a un modo in fiamme gli studenti chiedano spazi di ascolto e libertà.  

In questi giorni guardiamo con stupore quello che sta accadendo nelle università americane. Ma anche a casa nostra c’è un clima di terrore: il decreto sicurezza è entrato in vigore, il ministro riscrive i programmi a partire dalla Bibbia, la guerra divampa, gli studenti vengono minacciati e sanzionati, le assemblee e i diritti negati. Per chi ancora crede nella scuola, e nell’università, come palestre di cittadinanza è arrivato il momento di rivederci oltre i banchi. (giuseppe scandurra) 

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