Servirebbe per evitare il “TikTok ban”, che Trump ha rinviato di nuovo: secondo i giornali americani ci sono varie offerte, ma ora si sono messi in mezzo anche i dazi
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Venerdì scorso Donald Trump ha rinviato fino a metà giugno l’entrata in vigore del cosiddetto “TikTok ban”, la legge approvata dal Congresso degli Stati Uniti che obbliga ByteDance, la società proprietaria della piattaforma social, a venderla a un acquirente non legato al governo cinese. In caso contrario TikTok dovrebbe smettere di funzionare negli Stati Uniti (da qui il nome “ban”, divieto). In teoria la vendita avrebbe dovuto concludersi entro lo scorso 19 gennaio, ma la scadenza è già stata posticipata due volte dall’amministrazione Trump, che non ha interesse a vietare uno dei social network più popolari del paese.
Sempre venerdì Trump aveva detto che erano stati fatti «enormi progressi» nelle trattative per la vendita a uno o più acquirenti statunitensi, e negli ultimi giorni vari gruppi industriali e finanziari avevano fatto delle offerte. Secondo vari media statunitensi, che citano fonti rimaste anonime ma coinvolte nella questione, la trattativa sarebbe stata bloccata all’ultimo momento dal governo cinese per via dei dazi del 34 per cento annunciati da Trump sulle importazioni dalla Cina, che dovrebbero entrare in vigore il prossimo 9 aprile.
ByteDance è una società privata, ma come tutte le società cinesi è fortemente dipendente dalle decisioni del governo cinese, a livello legale ma anche politico. Per completare la vendita l’amministrazione Trump dovrà con tutta probabilità trattare anche con il regime cinese, per via diretta o indiretta, e forse fare concessioni in tema di dazi.
L’amministratore delegato di TikTok Shou Zi Chew alla cerimonia di inaugurazione della presidenza di Donald Trump (Kevin Lamarque/Pool Photo via AP)
Negli Stati Uniti TikTok è usato da oltre 170 milioni di utenti. Da tempo molti politici statunitensi lo considerano una minaccia alla sicurezza nazionale: sostengono che l’azienda potrebbe essere costretta a collaborare con il governo cinese per interferire nella politica statunitense, e che ci sia il rischio che ByteDance condivida i dati sensibili dei suoi utenti o permetta al governo di usare il suo efficace algoritmo per promuovere o censurare determinati contenuti con l’obiettivo di influenzare l’opinione pubblica statunitense.
Ad aprile del 2024 il Congresso aveva approvato la norma poi diventata nota come “TikTok ban”, e a gennaio la Corte Suprema statunitense aveva confermato la validità del provvedimento. Come detto, in caso di mancata cessione il blocco sarebbe dovuto entrare in vigore il 19 gennaio, il giorno prima dell’insediamento di Trump. Quel giorno ByteDance aveva quindi deciso di impedire l’accesso a tutti i suoi utenti negli Stati Uniti. Il blocco però era durato solo poche ore, poi Trump aveva approvato il primo rinvio.
Da allora sono cominciate le trattative per la cessione. La scorsa settimana, in vista della scadenza della proroga, sono emerse sulla stampa statunitense le prime notizie su alcuni possibili acquirenti. Trump ha detto di essere in trattativa con quattro gruppi. Uno dei più accreditati è un insieme di società guidato da Oracle, fondata da Larry Ellison, un alleato di lungo corso di Trump: del gruppo farebbero parte altre società attive nel campo informatico come General Atlantic, Susquehanna, KKR e Coatue.
Non è l’unica opzione: un’altra offerta sarebbe stata presentata dal gruppo Project Liberty, guidato da Frank McCourt, uomo d’affari con interessi nei media e nello sport, e dal cofondatore di Reddit Alexis Ohanian. Reid Raisner, proprietario del fondo Omnivest, ha detto al Financial Times di aver raccolto 50 miliardi di dollari per completare l’acquisto, mentre nelle ore precedenti al nuovo rinvio si era parlato anche di un possibile interesse da parte di Walmart, la più grande catena di supermercati negli Stati Uniti, di Amazon e di un consorzio guidato dalla società di Tim Stokely, fondatore e proprietario di OnlyFans, la popolare piattaforma per pubblicare contenuti, molto spesso pornografici, in cambio di soldi.
Secondo le fonti informate sulla trattativa, ByteDance avrebbe aperto a una cessione (inizialmente non contemplata) che le permetta di restare come azionista di minoranza con una percentuale di quote vicina al 20 per cento, e che non preveda la cessione dell’algoritmo alla base dell’app. ByteDance continuerebbe così a possedere l’algoritmo, ma lo cederebbe in licenza al nuovo gruppo proprietario. Secondo molti esperti questo sarebbe però problematico, perché se il controllo dell’algoritmo restasse alla società cinese il pericolo di ingerenze politiche nella gestione dei dati e nella promozione dei contenuti potrebbe persistere.
Qualsiasi accordo su una possibile vendita dovrebbe essere negoziato non solo sul piano economico e finanziario, ma anche politico: la Cina in passato ha perseguito, bloccato e ridimensionato le ambizioni di società private anche di grandi dimensioni, come l’e-commerce Alibaba dell’imprenditore Jack Ma, quando queste non hanno seguito le indicazioni del regime. L’ultima parola su una cessione di TikTok quindi dovrebbe essere quella del governo cinese. La società in un comunicato ha detto che «esistono ancora questioni da risolvere» e che ogni accordo «è soggetto all’approvazione in base alle leggi cinesi».
Secondo altri esperti legali poi lo stesso rinvio dell’entrata in vigore del “TikTok ban” approvato da Trump venerdì scorso sarebbe legalmente discutibile: la legge prevede infatti un solo rinvio di 90 giorni, ma solo se esiste già un accordo notificato formalmente al Congresso.