Faccio a pezzi Bagnoli. Manfredi e Meloni preparano il banchetto ai privati

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Faccio a pezzi Bagnoli. Manfredi e Meloni preparano il banchetto ai privati
(foto di massimo velo)

Le condizioni per la rigenerazione urbana dell’ex area industriale Bagnoli-Coroglio sono molto cambiate negli ultimi mesi. Dal momento dell’attribuzione per opera del governo Meloni di risorse per un miliardo e duecento milioni al processo di risanamento, una serie di colpi sono stati assestati al piano in applicazione: un attacco ad alcuni tra i più importanti elementi del progetto, che erano stati recepiti dalle istituzioni solo grazie alle lotte portate avanti sul territorio per tre decenni dagli abitanti, e che sono state invece messe in un angolo in pochi mesi.

Agitando lo spauracchio di costi troppo alti, prefigurando scenari distopici talmente poco credibili da risultare comici (tipo centinaia di camion che per mesi sfilano nel quartiere portandosi dietro pezzi di colmata, quando è cosa arcinota che la colmata rimossa avrebbe dovuto viaggiare via mare), Manfredi e Meloni non hanno avuto scrupoli a modificare le leggi esistenti che imponevano il ripristino della morfologia della linea di costa allo stato pre-industriale. La colmata resta dunque lì dov’è: oggi, dicono i pianificatori, trasformandola in una terrazza a mare (anche se con una delibera comunale imposta dalla raccolta di quattordicimila firme, i napoletani avevano detto che al posto della colmata volevano la spiaggia, definita in italiano “tratto di costa pianeggiante, ricoperto di sabbia più o meno fine o anche di ghiaia o di ciottoli”); domani, considerando il vizio degli amministratori che si occupano di Bagnoli di cambiare continuamente le carte in tavola (sempre in peggio naturalmente), chissà cosa potremmo trovarci sopra.

Il secondo punto riguarda i “servizi” che doteranno l’area del parco urbano e le strutture circostanti l’ex acciaieria (i quotidiani e il sindaco paventano la possibilità che quest’ultima diventi l’ennesimo centro congressi, a due chilometri e mezzo di distanza dalla Mostra d’Oltremare; il direttore amministrativo dell’ente commissariale, contattato sul punto, bolla la questione come una boutade). Una volta accantonata l’idea di un’area verde boschiva, che ha notoriamente bassi costi di manutenzione, si sente parlare sempre più di servizi all’interno del parco (bar e ristoranti compresi, nonostante la città possa già ben mostrare gli effetti degli invasivi processi di tavolinizzazione dello spazio pubblico). D’altro canto, per tutto quello che sorgerà attorno all’acciaieria – ognuno spara ciò che vuole, al momento, perché non ci sono né progetti né investitori – l’ente commissariale sostiene la necessità di rendere lo spazio “più attrattivo possibile” per gli imprenditori che andranno a metterci i soldi. Una guerra all’ultimo sangue per strappare al pubblico condizioni logisticamente ed economicamente favorevoli al privato, è pronta a iniziare.

La società civile, gli esperti di urbanistica, gli intellettuali, i docenti universitari che per decenni hanno consumato litri di inchiostro e costruito carriere sulle sfortune dell’area, sembrano ora piuttosto distratti. A voler essere indulgenti potrebbe trattarsi della comprensibile stanchezza (uno dei più importanti personaggi che si è occupato di Bagnoli in questi decenni ha riferito al telefono di non volerne “mai più sentir parlare”) che ha logorato anche la comunità del territorio, che pure continua a fare quel che può, agitandosi per denunciare lo scempio e raccogliendo le poche energie residue per opporvicisi. Più probabile che la comunione di intenti che sta guidando all’azione i due principali partiti del centrodestra e del centrosinistra sia stata assorbita anche da tutti quei soggetti sopra citati, per i quali dire oggi anche mezza parola su Bagnoli fuori dallo spartito diventerebbe motivo di isolamento.

Un’ultima questione merita, infine, di essere affrontata, riguardo i possibili cambiamenti in termini di edificazioni nell’area della ex fabbrica, che è inspiegabilmente fuori, per una parte, dal perimetro della “zona rossa ristretta” dei Campi Flegrei. Il fatto che si possa decidere di ridurre le cubature per le case considerando i fenomeni naturali dell’area è ovviamente una buona notizia. Meno, il fatto che si parli solo di cambiare destinazione d’uso a una parte di queste edificazioni: se è impensabile costruire un palazzo su un lotto X, perché non è pericoloso costruirci un centro commerciale o un ristorante? Se le scuole del quartiere hanno dovuto essere evacuate a causa dell’emergere – INASPETTATO – di Co2, chi ci assicura che fenomeni naturali altrettanto inattesi non possano presentarsi tra sei mesi o sei anni, rendendo pericolose quelle strutture? Se si scegliesse di trasformare le cubature residenziali in commerciali, facendo una bonifica meno impegnativa e costosa, dove andrebbero a finire i soldi stanziati “avanzati”?

Per questa e altre questioni (per esempio l’idea di una “scogliera soffolta” artificiale da piazzare in mare dopo la bonifica, operazione discutibile per una parte della comunità scientifica, o il parametro della “sostenibilità” economica messo a fondamento di qualsiasi scelta, il che significa che per la tutela del paesaggio e della popolazione non si è disposti a spendere un euro) la popolazione aspetta da settimane di incontrare il commissario, se possibile in una modalità che non sia la solita chiacchierata “informativa” alla Porta del Parco, comunicata con una mail a pochi fortunati presenti in mailing list, e che finisce per diventare lo sfogatoio delle frustrazioni degli abitanti su amministratori che continuano a prendere decisioni con dei colpi di mano, cambiando il destino di un territorio senza nemmeno mai doversi prendere il disturbo di portare le loro mascalzonate in un consiglio comunale. (riccardo rosa)

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