
Possiamo chiamare il decennio milanese dall’elezione di Pisapia al Covid (2011-2020) l’epoca d’oro della rigenerazione urbana alla milanese, in cui è stato progettato e realizzato un modello di crescita urbana profondamente classista, basato sull’attrazione di fondi finanziari, la “lussificazione” della città e l’espulsione dei ceti meno agiati, la distruzione sistematica del welfare urbano e la glorificazione della rendita immobiliare. La città si è trasformata inseguendo la massima valorizzazione del metro quadro, ed è stata quindi densificata in barba al consumo di suolo, al rispetto dei vuoti che garantiscono vivibilità, luce e aria, privatizzando spazi e servizi pubblici.
Per dispiegare indisturbati una tale quantità di violenza urbana e sociale sui cittadini è stato necessario fare due cose: esercitare un controllo assoluto sulla comunicazione – affiancando la propaganda alla censura – ed erodere le leggi urbanistiche che ancora ostacolano l’aggressione degli interessi privati al tessuto urbano privando gli abitanti del diritto all’abitare e alla stessa vita civile.
Intrecciando dei Pgt (Piani di governo del territorio) costruiti per ridurre al minimo le decisioni pubbliche con un reticolo di norme edilizie e urbanistiche regionali e nazionali che si sono giustapposte dagli anni Novanta in poi per “sbloccare” lo sviluppo, hanno tentato di smantellare l’impianto normativo che imponeva un certo tasso di redistribuzione della ricchezza prodotta dal comparto edilizio immobiliare. Per esempio, in questo modo, facendo uso perverso di consulenze legali e amministrative, hanno creato quella zona grigia del diritto che ha consentito che si costruissero decine e decine di “grattacieli con la Scia”: palazzi alti eretti al posto di box e magazzini con la sola autocertificazione, senza piani e permessi urbanistici, fatti passare per ristrutturazione e per questo motivo esenti dalle tasse e dagli standard che consentono di compensare con nuovi servizi ai quartieri il carico urbanistico. Quando cioè la retorica parla di “semplificazione delle norme”, la politica fa l’esatto contrario di quello che la popolazione si aspetta. Lungi dal riorganizzare il diritto in poche leggi semplici e chiare, lo ingabbia in un labirinto barocco di rimandi complessi che ostacola la comprensione ai più e semplifica una sola cosa: la libera appropriazione delle città e del territorio da parte dei capitali immobiliari.
DISVELAMENTO ED EMERSIONE DEL CONFLITTO
Dopo anni di ottimismo forzato ed egemonia del modello Milano, attivisti, comitati e critici riescono a far emergere la voce del dissenso, rompendo la narrazione e sfidando il pensiero unico. Si torna a lottare in primo luogo per il diritto alla casa, ma anche contro gli interventi di cosiddetta rigenerazione urbana che producono diseguaglianze. Si manifesta per salvare aree verdi minacciate da speculazione come la Goccia della Bovisa e Piazza d’Armi, contro le Olimpiadi e la trasformazione di piazzale Loreto in un centro commerciale, contro l’assurda distruzione dello stadio di San Siro, per l’assegnazione di migliaia di case popolari vuote alle famiglie in lista d’attesa, contro l’ondata di sfratti e il caro affitti; si moltiplicano articoli e saggi che mettono in relazione la morte dell’urbanistica democratica con i processi della concentrazione della ricchezza ed evidenziano il ruolo manipolatorio esercitato dal terzo settore, dalla finta partecipazione e dal lavoro culturale sempre più al servizio degli eventi e della gentrificazione. I giornali sono costretti, malvolentieri, a rompere il silenzio sulle contraddizioni aperte.
A seguito di esposti presentati da cittadini e comitati, si aprono una serie di inchieste sui “grattacieli con la Scia” che confermano e arricchiscono il quadro interpretativo degli oppositori del Modello. Al di là degli illeciti e degli abusi che saranno confermati o meno dall’esito dei processi, dei casi di concussione e corruzione, da un calcolo a spanne risulta che il Comune abbia perso almeno due miliardi in oneri e monetizzazioni non incassati per sua stessa volontà: due miliardi che avrebbero potuto essere spesi in manutenzione ordinaria e straordinaria di case popolari, scuole e strutture sportive pubbliche, parchi, in personale assunto nei musei e nei trasporti, ecc. Le prove di una politica deliberatamente classista ed escludente.
L’ARROCCAMENTO DEL POTERE
Mai la giunta e il ceto politico e imprenditoriale che la sostiene sono stati così deboli: divisioni nella maggioranza, disaffezione dei pochi elettori, informazioni che trapelano bucando il muro di gomma così capillarmente costruito, rischi di condanne penali e civili, e soprattutto un’immagine di incertezza che inquina la reputazione della città creando un clima di sfiducia negli investitori.
La reazione delle classi dominanti è stata immediata: una squadra eterogenea e bipartisan composta da costruttori, avvocati d’affari, professionisti e politici coinvolti a vario titolo nel sistema di facilitazione ha disegnato una legge (la “SalvaMilano”) che non è assimilabile a un condono, ma si pone come “interpretazione autentica” delle leggi urbanistiche in vigore, e che estenderebbe le regole inique del modello Milano a tutto il territorio italiano. Per fare pressione sul parlamento per una rapida approvazione, il Comune chiude gli sportelli dell’edilizia, mettendo in atto una vera e propria serrata per inscenare un drammatico blocco della città causato dalla persecuzione giudiziaria.
Il parlamento approva la disgraziata legge in autunno, ma finalmente un appello di urbanisti e costituzionalisti riesce a smuovere l’opinione pubblica italiana e a porre, come non succedeva da anni, la questione urbanistica al centro di un piccolo dibattito nazionale, che miracolosamente fa slittare l’approvazione in Senato e getta ulteriore discredito sulla giunta, sul sindaco e sul sistema urbanistica, cui si aggiungono nuove ombre a seguito di nuove indagini su un concorso truccato per la nuova Biblioteca Europea e su altri cantieri irregolari.
A fronte di una situazione così compromessa, il potere si è arroccato. Non solo in senso letterale, evitando di chiedere scusa e di farsi da parte (con l’unica eccezione dell’assessore alla casa Bardelli, uno dei meno coinvolti), ma soprattutto accelerando tutti i progetti più divisivi in corso: Milano non si ferma, non si deve fermare, e con lei non deve essere messo in discussione il processo di controriforma urbanistica generale. Gaetano Manfredi, sindaco di Napoli ma soprattutto presidente dell’Anci, l’associazione dei comuni Italiani, manifesta la solidarietà degli amministratori di tutta Italia al sistema Milano. Tutti anelano, evidentemente, alla deregulation urbanistica e a competere per l’attrattività; e sono pronti a fare pressione per una nuova legge sulla rigenerazione urbana o per una modifica del testo unico per l’edilizia che ripropongano le stesse modifiche della SalvaMilano.
In pochi giorni Beppe Sala ha convocato le società di Inter e Milan per concludere la vendita sottocosto dell’area dello stadio, premessa al suo abbattimento e ricostruzione sul parco adiacente dei Capitani, prima che un vincolo della Soprintendenza comprometta l’operazione. Poi ha organizzato un incontro con gli immobiliaristi e costruttori coinvolti nei cantieri indagati e le “1.600 famiglie” che hanno acquistato le case di lusso o semi-lusso che rischiano di essere dichiarate abusive, proponendo una soluzione interamente a loro favore che sbloccherebbe le vendite e il proseguimento dei cantieri, con buona pace della giustizia sociale, dei residenti vicini danneggiati dai grattacieli, e soprattutto delle 13 mila famiglie in attesa da anni di una casa popolare che non sono mai state ricevute da nessuno. Ha poi invocato per l’ennesima volta il ministro della cultura per sbloccare una serie di interventi di “rigenerazione-
I giornali, entusiasti, sono tornati a dare manforte al sindaco, interpellando chiunque possa e voglia difendere lo status quo: raccontando l’incertezza degli acquirenti “sospesi”, intervistando i sostenitori dello sviluppo, rilanciando l’approvazione di nuovi progetti e piani per “porre fine all’agonia dell’immagine milanese”.
Come Macron in Francia, la von der Leyen in Europa o Erdogan in Turchia, anche qui chi governa non lascia mai che una crisi vada sprecata: ogni volta che il conflitto e il dissenso emergono, ne approfitta per instaurare un equilibrio sempre più autocratico, abbandonando anche le ultime simulazioni di partecipazione e di convenzioni democratiche, come la trasparenza sulle informazioni o il rispetto delle funzioni del consiglio comunale, e scommettendo sull’esaurimento delle energie di chi si oppone.
La posta politica in gioco è molto alta. Dopo la rimozione dell’articolo 18 e lo smantellamento del sistema pensionistico, ora a essere sotto attacco sono la città pubblica, la difesa del territorio e con esse i presupposti della redistribuzione della ricchezza prodotta e della giustizia spaziale. (lucia tozzi)