la-parola-della-settimana.-sobrieta
La parola della settimana. Sobrietà
(disegno di ottoeffe)

Non riesco ad affrontare la vita quando sono sobrio (charles bukowski, musica per organi caldi)

Venerdì sera avevo la televisione accesa mentre cenavo. Nel programma di Lilli Gruber si parlava della Resistenza, ma sembrava più un teatrino dei pupi (con tutto il rispetto enorme per il teatro dei pupi) con i copioni scritti per esaltare le caratteristiche dei diversi personaggi. La Gruber faceva quella indignata-brillante contro l’avanzata delle destre (a furia di farla, la parte dell’indignata-brillante le riesce meglio che venti anni fa) ma non aveva disdegnato di invitare, per bilanciare la presenza di una storica di sinistra, un tizio che ha annunciato come presidente della Fondazione Vittoriale degli italiani. Il soggetto in questione è Giordano Bruno Guerri, ex radicale oggi vicino a Forza Italia, studioso della chiesa cattolica e del fascismo, fondatore con Ida Magli di un ambiguo “movimento culturale” dal nome Italiani Liberi.

Il copione dei pupi è andato avanti per un’ora, esattamente come ce lo si poteva aspettare, ovvero all’insegna della par condicio (Gruber però si indignava quando parlava quello di destra), come se invece di fascismo e Resistenza stessimo parlando di – che ne so – referendum sulla cittadinanza, Brexit, legge elettorale. Il tutto, comunque, con sobrietà.

Sia la premier che i ministri all’unanimità, che io stesso, non abbiamo mai pensato né di vietare né di ostacolare alcunché, figuriamoci una celebrazione così importante come l’anniversario della fine della guerra civile e del ripristino della democrazia. […] Ognuno la sobrietà la interpreta e vive in base alle proprie sensibilità, con la serenità dei credenti e con la buona educazione dei non credenti. Balli e canti scatenati si potrebbero evitare, ecco, mentre la salma è ancora non tumulata. (nello musumeci, ministro per la protezione civile e le politiche del mare)

Nell’idea di rispettare le indicazioni del governo vado a completare questa rubrica richiamando all’etimologia del termine (“misuratezza”), riprendendo alcuni documenti – storici e letterari – che mostrano perché effettivamente si può ritenere che gli stessi partigiani rifuggirono qualsiasi eccesso, facendo semplicemente ciò che andava fatto.

Carissima mamma, ti spedisco la fotografia di Delio. Il mio processo è fissato per il 28 maggio: questa volta la partenza deve essere prossima. […] Non preoccuparti e non spaventarti qualsiasi condanna mi diano: io credo che sarà dai quattordici ai diciassette anni, ma potrebbe essere anche più grave, appunto perché contro di me non ci sono prove. Cosa non posso aver commesso, senza lasciar prove? Sta’ di buon animo. Ti abbraccio, Nino (lettera dal carcere di antonio gramsci a sua madre, 30 aprile 1928)

VM: Noi per esempio non prendevamo la tessera, perché mio padre mi ricordo che venne dalla maestra, je disse: “Io sono così, le mie figlie non voglio che prendano la tessera”. Cinque lire se pagava ‘sta tessera. Ma noi a parte che non ce l’avevamo proprio le cinque lire da daje p’a tessera d’a balilla, ma poi mio padre non voleva. Poi, magari noi abbiamo trovato pure una maestra che ha capito questa cosa, poi s’è stancata e non ce l’ha chiesti più. Però poi in classe veniva una, la fascista [del quartiere], veniva con la divisa, la signorina Serpi se chiamava […]: “Questa qui è ‘na bambina che ‘l padre è comunista e che la tessera del fascio no’ la prende”. E allora sai quante volte m’è toccato litigare co’ dei bambini, perché quando uscivamo da scuola, io e le mie sorelle, ci additavano come “le comuniste”.
(testimonianza di valtèra menichetti raccolta da alessandro portelli e pubblicata in: ribelle e mai domata. canti e racconti di antifascismo e resistenza)

Nei pressi della stazione mi incontrai con Guglielmo, che mi doveva consegnare la valigia. […] Avevo preso la rivoltella che, di solito, negli attacchi con bombe preferivo non portami dietro, perché se fossi stata fermata e se me l’avessero trovata, non sarei sfuggita alla tortura e alla morte. Ma questa volta ero sola e avevo pensato che armata avrei sempre potuto fuggire sparando, o spararmi nel caso non avessi avuto scampo. Dal lato della stazione verso via Marsala, dove ci sono alcuni ruderi dell’antica Roma, c’era ‘na finestrella che dava proprio nel Banhoff, sempre affollato di truppe tedesche dirette ad Anzio. Sistemai la valigia sul davanzale, dopo averla capovolta, e mi allontanai frettolosamente, ma senza correre. Avevo appena raggiunto i giardini di via delle Terme, quando ci fu la deflagrazione, violentissima. (maria teresa regard, autobiografia. testimonianze e ricordi)

“Ascolta, dovremmo passare in un paese che ha un nostro presidio. Naturalmente anche lì c’è gente scottata. In particolare ci sono due miei compagni ai quali avete ammazzato i fratelli. […] Quelli vorranno mangiarti il cuore. Quindi noi scarteremo quel paese, lo aggireremo per un vallone che so io. Ma tu non farmi…”.
Le dita del sergente si slacciarono da sulla nuca con uno schiocco terribile. Le braccia remigavano nel cielo bianco. Così sospeso era tremendo e goffo. Volava di lato, verso il ciglio e il corpo già pareva arcuarsi nel tuffo in giù.
“No!”, aveva gridato Milton. Ma la Colt sparò, come se fosse stato il grido ad azionare il grilletto.
Ricadde sulle ginocchia e stette per un attimo, tutto contratto, con la testa appiattita e il naso piccolo e marcato come conficcato nel cielo. […]
“No!”, ripetè Milton e gli risparò, mirando alla grande macchia rossa che gli stava divorando la schiena.
(un sergente della divisione fascista San Marco incontra il partigiano milton in una questione privata, di beppe fenoglio)

MM: Ma ti dirò, io non credo che nessuno di noi, non lo so per gli altri, si sia posto il problema etico dell’uccisione. […] Io non credo – cioè la situazione era talmente estrema – più che di terrore – c’era il terrore – ma di violenza continua – per cui non puoi dire. Forse ci vorrebbe lo psicologo per spiegarlo; ma l’idea di uccidere – a me non è mai venuto mai, “uccido, faccio male”. Non mi sono mai posta questo problema.
AP: E dopo?
MM: Assolutamente. Se penso, che so, d’aver contribuito con una bomba a far saltare in aria un soldato tedesco, non penso, che so, che quello era un figlio di mamma, che era il padre di un bambino piccolo. Non la vivo così. Vedo torturatori di via tasso, rastrellatori di ebrei, guardia ai campi di sterminio. (testimonianza di marisa musu raccolta da alessandro portelli e pubblicata in: ribelle e mai domata. canti e racconti di antifascismo e resistenza)

Guido, Sanmarchi e il Lupo avevano fatto un giuramento: di continuare in tutti i modi la lotta, se uno dei tre fosse stato preso od ucciso. Perciò Guido, appena seppe dell’arresto del Lupo caricò la pistola, e andò dal maresciallo dei carabinieri. […] Gli disse che se non liberava il Lupo avrebbe fatto saltare in aria la caserma, poi lo minacciò con la pistola. A questi argomenti il maresciallo si arrese, e il Lupo fu rilasciato. Da quella volta non si era fatto più vedere in paese, era andato nel bosco vicino a Monte Sole. […] Sugano, vestito con una divisa tedesca, stava sulla strada. Fece cenno di fermare, poi, colla pistola in mano, salì: “Voi scendere!”, disse a Sanmarchi. Lui. rispose: “Ma io essere camerata. Io SS”. Sugano ripetè: “Voi scendere!” e intimò all’autista: “Rauch!” […] Adesso Sanmarchi e Sugano erano soli sulla strada: “Possiamo parlare anche in bolognese – disse Sugano –. Sono un partigiano del Lupo”. Sanmarchi fece per saltargli addosso e si prese cinque palle nello stomaco. “Sei morto?”, disse Sugano. “Si, sono morto. Perchè mi fai tanto male?”, rispose Sanmarchi. Allora Sugano gli sparò nella testa. (la partigiana brunetta musolesi della “brigata stella rossa” racconta l’uccisione della spia fascista infiltrata olindo sanmarchi)

(a cura di riccardo rosa)

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