Notizie del bello, dell’antico e del curioso della notte a Napoli #4

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Notizie del bello, dell’antico e del curioso della notte a Napoli #4
(archivio disegni napolimonitor)

Sono le 21 e ho appena finito di prepararmi. È sabato e si esce. Aspetto che mi vengano a prendere e intanto mando qualche messaggio sul gruppo: “Dove andiamo?”.

Quartieri Spagnoli, “baretti” di Chiaia, centro storico: le opzioni sono sempre quelle. Parcheggiamo a Fuorigrotta e ci spostiamo con i motorini. Di sabato il traffico è ingestibile e trovare parcheggio è un’impresa. Su due ruote la percezione della città cambia: sembra più piccola, più nostra. Le strade strette e irregolari del centro sono irradiate dalla luce dei lampioni, mentre i vicoli più interni restano in ombra, con porte socchiuse e finestre parzialmente illuminate. Il traffico delle strade principali si alterna alla quiete di questi vicoli, colorati dai vestiti (i panni) appesi ai balconi e dalle mura spoglie di intonaco.

Più si fa tardi più la città si anima. Più passa il tempo più ci si mescola. Negli ultimi mesi si è tornato a parlare di episodi di violenza che hanno coinvolti ragazzi napoletani. Scontri tra giovani, accoltellamenti nei pressi dei locali, colpi di pistola.

Giuseppe ha ventun’anni, abita a via Foria da quando era piccolo e frequenta la facoltà di ingegneria navale alla Federico II. «Molti ragazzi girano con armi bianche. Ho amici con un po’ di precedenti, altri che hanno scontato pene in carcere o in comunità, e la cosa non sorprende più nessuno. Già a dieci anni vedevo queste cose e ho imparato a conviverci». Giuseppe mi spiega quanto sia stato importante per lui imparare a decifrare le dinamiche caratteristiche del luogo in cui vive, per elaborare una “giusta distanza”. «Non si può insegnare la violenza, si impara dall’ambiente. Da bambino percepisci l’attrattiva di certe situazioni, magari per curiosità ti avvicini un po’. Alcuni contesti richiedono la fortuna – e la capacità – di evitarli, e io sono stato fortunato: i miei genitori hanno sempre fatto di tutto per tenermi lontano da ambienti violenti, pur senza impedirmi di vederli e viverli».

Arriviamo a piazza Carità e posiamo i motorini. Saliamo ai Quartieri Spagnoli, che si riempiono lentamente. Le persone si radunano davanti ai bar, alcuni sorseggiano il primo drink della serata, altri stanno fermi a fumare. C’è un continuo via vai. Le strade strette sono piene di gente, bancarelle di street food vendono frittatine e pizze fritte, motorini sfrecciano tra i vicoli. Ci sono murales ovunque. Alzando gli occhi alcune donne chiacchierano affacciate ai balconi. I bambini giocano a pallone tra la gente, mentre il rumore del traffico poco distante si mescola al vociare. I flash delle insegne luminose dei bar si riflettono nelle pozzanghere di pioggia o di drink rovesciati. L’atmosfera è vivace, ma anche caotica.

Dopo un po’ ci spostiamo a Chiaia, dove l’atmosfera è molto diversa. Ai baretti tutti sono seduti intorno a tavoli colorati e ordinati, la musica è alta. Faccio difficoltà a muovermi, non vedo nessuno ridere come in piazza ai Quartieri. Rosa saluta un sacco di persone, ma faceva lo stesso anche dall’altra parte. «Conosco gente sia qua che là, mi piace frequentare persone diverse», mi spiega facendosi spazio tra la folla.

Da questa parte della città conta molto l’apparenza: il modo in cui ti vesti, il posto in cui ti siedi, chi conosci. È un gioco di etichette che Rosa conosce bene. «Vorrei che cambiassimo questo modo di ghettizzarci tra di noi», dice. «Dovremmo poter andare ovunque, senza la preoccupazione di essere catalogati».

Rosa ha diciott’anni, abita a Varcaturo e frequenta il liceo scientifico. «In realtà fin da piccola mi sono sempre sentita un po’ fuori luogo», mi spiega. «Quando ho iniziata la scuola a Posillipo ero sempre quella “non di Posillipo”, quando uscivo con quelli della mia zona ero sempre quella che andava a scuola a Napoli. Negli ultimi anni, a mio parere, la situazione è un po’ migliorata. Prima, era più comune associare certi luoghi a determinati tipi di persone, creando pregiudizi e distanze. A un bar come il Cimmino, dove un drink può costare fino a venti euro, pensavi di trovare solo persone con uno specifico stile di vita, mentre al Tony spritz, dove puoi ubriacarti con sette euro, te ne immaginavi altre con abitudini diverse. È vero che ogni locale attira un certo tipo di clientela, ma questo non significa che una persona non possa sentirsi a suo agio in contesti diversi; io sono molto socievole, mi piace poter variare, se poi mi scocciano non mi importa». Mentre ci spostiamo Rosa continua a raccontarmi pettegolezzi di ogni genere. In effetti quelli su chi frequenta Tony Spritz non sono molto diversi da quelli del Cimmino.

Dietro l’angolo un ragazzo molto giovane si sente male. Ha bevuto troppo, non riesce a stare in piedi. Qualcuno prova ad aiutarlo, altri si limitano a ridere. «In tutti gli ambienti ci stanno droghe e alcol», mi dice Rosa. «Ne gira così tanta che è normale qualcuno esageri. Una volta c’era la distinzione tra droga per ricchi, la cocaina, e quella per poveri, la marijuana. Oggi non ci sono posti dove non si trova del fumo, così come è impossibile trovare un posto dove non si bevano superalcolici». Effettivamente, mentre i prezzi per entrare nei locali sono aumentati quello dell’alcool sembra diminuito, tanto che si trovano facilmente bar che fanno shot di superalcolici da un euro e drink a tre. Se vuoi andare al cinema è impossibile uscirtene con meno di dieci o quindici euro.

Decidiamo di rientrare, passando per piazza del Gesù. Le luci illuminano la facciata della chiesa del Gesù Nuovo, il resto è piuttosto buio, dei ragazzi sono seduti ai piedi dell’obelisco. «Nel centro storico ti puoi sentire libero di parlare con chiunque, secondo me», spiega Giuseppe. «C’è meno formalità, più inclusione, ma  l’apparenza conta sempre, anche se in modo diverso. Il modo in cui ti vesti e con cui ti poni non indica solo quanti soldi hai, ma anche chi sei, come sei fatto e da dove vieni». Nell’aria c’è odore di dolci appena sfornati. Le pasticcerie sono ancora aperte e vendono sfogliatelle e babà ai nottambuli.

Riprendiamo i motorini, torniamo alla macchina e mentre siamo in viaggio verso casa continuo a parlare con Rosa. «Non ho mai avuto un gruppo fisso», mi racconta guardando la strada. «Ho sempre conosciuto persone in diversi ambienti. Dovunque vado conosco qualcuno, e non ci sono luoghi che non mi sentirei di frequentare». Anche Giuseppe, salutandomi mi fa: «È una questione di equilibri, di sapersi muovere per la città. Saper stare nei posti giusti con le persone giuste. Puoi avere tutto, devi solo scegliere». (viola varlese)

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