
Quando nel 1988 Umberto Eco pubblicò il suo Pendolo di Foucault, Severino Cesari scrisse sul Manifesto: “È il grande libro sul vuoto di questi anni e lo dichiara, se appena uno sa leggere. Ed è il duro, metallico libro che insegna a vivere con questo vuoto, a diventare adulti nell’unico tempo concesso…”. Qualcuno, rileggendo queste parole, potrebbe chiedersi: ma che c’entra il vuoto degli anni Ottanta con quella storia di complotti secolari e confraternite arcaiche? Eppure, quella chiave di lettura del romanzo di Eco era pertinente: il libro parlava obliquamente anche del presente, se solo si sapeva leggere in controluce attraverso il suo disegno tortuoso e immaginifico. Questo perché l’autore aveva afferrato il “genere” e l’aveva strizzato con una tale intensità da esondare oltre il suo perimetro “naturale”, trasformandolo in altro, in letteratura tout court, alta, polisemica, universale.
Con lo stesso approccio, Franco Pezzini, riconosciuto come massimo esperto italiano di letteratura gotico-horror vittoriana, ha dato alle stampe il suo Morte Astrale (Polidoro editore, 2025, pag. 432, 18 euro), un libro labirintico e avvincente che solo superficialmente potrebbe rimandare al canone stilistico e tematico del Pendolo. In realtà, i parallelismi che si possono cogliere rimandano essenzialmente al metodo – la sfida continua al lettore, l’esortazione a perdersi nei meandri della trama. E anche nella tracimazione, più o meno voluta, dal proprio dichiarato alveo “fantasy” (detestabile definizione che mortifica il genere) verso approdi diversi e più ampi.
Franco Pezzini è stato amico del compianto Valerio Evangelisti – con il quale ha condiviso l’avventura di Carmilla –, figura chiave della letteratura italiana contemporanea, innovatore e fonte di ispirazione per molti. Evangelisti intuì fin dai primi anni Novanta che il romanzo di genere poteva essere usato come un ponte da attraversare e far saltare – in una tensione continua verso la costruzione di un immaginario luminoso, di apertura ai mondi possibili dell’esperienza e della praxis umana. E questi criteri Evangelisti li applicava sia quando raccontava di Nostradamus che del sindacalismo americano. Scriveva Evangelisti che, quello che orgogliosamente la letteratura “alta” si permetteva di ignorare, nel fantasy e nella fantascienza trovava posto perché “il genere è intrinsecamente massimalista e incline a gestire grandi temi: trasformazioni di larga scala, sistemi nascosti di dominio, società alternative, effetti tragici o bizzarrie della tecnologia… quello che il genere non tollererà mai è il minimalismo, perché incompatibile con il suo codice genetico. Solo nella fantascienza troviamo descrizioni realistiche (si, realistiche!) del mondo in cui viviamo…”.
Pezzini raccoglie il testimone e costruisce la sua storia su un intreccio di suggestioni e rimandi cronologici e letterari, che poi riesce a padroneggiare (con fatica) e condurre fino in fondo, facendo quadrare in qualche modo i conti della ricca narrazione. Sotto le sue mani di puparo scrupoloso, moderni esoteristi e antichissime sette si contendono i segreti delle forze della natura e del potere a cui esse consentono di accedere. Personaggi e contesti reali e immaginari attraversano il tempo e lo spazio inseguendo il filo del Segreto – che rappresenta la distopia, la minaccia incombente, l’incubo del male, ma che può anche rovesciarsi nel suo opposto, nella luce dell’utopia. Il Segreto come bussola dell’esistenza e della storia in tempi in cui il nichilismo troneggia vittorioso.
Viene da riflettere sui miti occultistici – a lungo alimentati e inseguiti dall’uomo –, oggi che siamo giunti nell’epoca della loro sostanziale inutilità: le forze naturali sono state soggiogate non da ritualità arcane ma dalla tecnologia; e la vera magia operativa è oggi nelle mani di ristrette oligarchie che creano tempeste materiali e finanziarie, con più facilità di quanto un romanziere possa immaginare. E allora bisogna raccontare in qualche modo “il duro metallico” mondo in cui ci tocca vivere, ricreandolo nella dimensione parallela del fantastico. Un mondo in cui la “morte astrale” non arriva da una dimensione parallela più o meno immaginaria, ma dalla cybersfera, i cui incubi entrano ed escono dalla nostra realtà materiale a ogni istante, nei tempi della iperconnessione globale.
Serve la letteratura di genere oggi? E può essere considerata evasione o trastullo immaginativo? Chiediamoci cos’è una rivoluzione – politica o letteraria – se non innanzitutto un grandioso sforzo creativo di immaginazione. Col pragmatismo non si fa altro che contemplare il miserabile presente. Così come il pragmatismo in politica è la scienza triste dell’amministrazione, in letteratura corrisponde al minimalismo intimista, così diffuso oggi per stile e contenuti. E Pezzini non vuole saperne di volare basso raccontando il mondo così com’è. I suoi personaggi sono incalliti idealisti – del bene o del male, cambia poco. La loro missione è sconvolgere la storia o salvarla. E anche qui un rimando al tempo presente: continuiamo a tenere in vita la medesima meta-narrazione, il racconto teosofico della Loggia Bianca e Nera che si affrontano da secoli e che viene rivitalizzato e declinato, epoca dopo epoca, fino ai giorni nostri – con i “progressisti” asserragliati nei salotti della Gruber pensando di difendere il paradiso perduto dell’occidente dall’orco Trump; e i dementi di Qannon che sperano di usare il messia Trump per rifondarlo.
Insomma, gli esoteristi di Pezzini, che attraversano i secoli dal Medioevo alla Belle Epoque, sono altrettanto plausibili delle maschere irritanti del reale. E davanti alla malattia del mondo contemporaneo fanno anche tenerezza le citazioni di figure iconiche del milieu magico esoterico che abbondano nel testo: come quell’Aleister Crowley, che nelle sue megalomani velleità di Mago Nero non avrebbe mai pensato di diventare inoffensiva icona pop finito su una copertina dei Beatles.
Franco Pezzini sceglie l’esordio narrativo – dopo anni di scrittura intensa e piena di riconoscimenti come critico e saggista. E lo fa con una storia scritta più di un ventennio fa. È un esordio ricco di adrenalina e malinconia, che stupisce e interroga in più di uno snodo. Ma alla fine ti costringe a chiederti: ci sarà mai un seguito? (giovanni iozzoli)