Scioperare insegna a scioperare, in corteo con i librai Feltrinelli

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Scioperare insegna a scioperare, in corteo con i librai Feltrinelli
(disegno di sam3)

Con tutti i suoi difetti, il tobleronico edificio della Fondazione Feltrinelli a Milano è un posto perfetto dove far partire un corteo. L’algida piazza davanti all’ingresso sembra fatta apposta per essere invasa da scarpe da ginnastica, bandiere, striscioni, fumogeni e da una playlist, dai Lunapop ai Depeche Mode, che esce da una cassa tirata da una bicicletta. Sulle vetrate della Fondazione, pulitissime come sempre, si riflettono le figure dei manifestanti che arrivano alla spicciolata, mentre la citazione di Ferruccio Parri a lettere cubitali sulla facciata – È IN GIOCO L’AVVENIRE – si presta ad automatici détournement. I sindacati di librai e libraie Feltrinelli (Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs) hanno convocato il concentramento per il corteo qui il 17 marzo perché contemporaneamente era prevista una convention di due giorni per i settant’anni dell’editore. Convention poi ridotta a un giorno solo, il 18. La mattina di sole dopo tanti giorni di pioggia sembra confermare che è comunque il giorno giusto per scioperare.

Nelle centoventi librerie del gruppo sparse per l’Italia si sciopera per il rinnovo del contratto integrativo aziendale, le questioni in ballo sono: abolizione del salario d’ingresso per i neoassunti, chiarezza sui premi di risultato e aumento di 1,5 euro dei buoni pasto, oggi fermi a 6 euro. A quanto pare l’azienda ha abbandonato la trattativa proprio su quest’ultima questione, vorrebbe spalmare l’aumento su tre anni, mentre per i sindacati deve avvenire entro un anno. Dalle interviste raccolte da Radio Onda d’Urto è chiaro che librai e libraie non scioperano solo per anticipare l’arrivo di un buono da 7 euro e cinquanta con cui, non solo a Milano, serve una certa creatività per mettere insieme un pasto degno di questo nome. Il conflitto ha a che fare con il progressivo svilimento del lavoro, con i tanti anni di contratti di solidarietà e cassa integrazione e con la speculare narrazione trionfalistica con cui vengono raccontati i successi aziendali – uno stile sopra le righe anche per gli standard del settore culturale che, si vocifera da qualche anno, potrebbe essere il preludio di un corposo riassetto della proprietà.

Al di là della retorica, il gruppo Feltrinelli appare in buona salute – nel 2023 i ricavi hanno raggiunto i 510 milioni e il margine operativo lordo è aumentato del dieci per cento –, un momento ideale per ottenere miglioramenti del contratto, ma l’adesione allo sciopero non è scontata: sia nelle interviste in radio che nelle chiacchiere in piazza è chiaro che per molti lo sciopero è una novità e, soprattutto, che buona parte di chi lavora in Feltrinelli ha scelto di farlo per un’adesione al progetto culturale, oggi brand, che da settant’anni è schierato “a sinistra”. Una componente vocazionale – che si traduce in una maggiore capacità di sopportare condizioni di lavoro peggiori, a parità di salario, per un lavoro che “piace” – che riguarda molti altri che lavorano in ambiti culturali e creativi. Forse è per questo che quando ho letto per la prima volta la frase che chiude il volantino distribuito nei giorni prima del corteo ho pensato che non si rivolgesse solo a librai e libraie Feltrinelli: “Leggere insegna a leggere. Scioperare insegna a scioperare”. Si rivolgeva anche a noi.

Faccio parte del contingente di freelance editoriali di Redacta che accompagna il corteo, in solidarietà con chi sciopera. Negli anni abbiamo organizzato eventi e firmato petizioni per i lavoratori della stampa, in particolare Grafica Veneta, e per quelli della logistica, sia quelli del gigantesco magazzino editoriale di Stradella (Pavia) – dove la joint venture Feltrinelli-Messaggerie stocca e distribuisce la maggior parte dei libri italiani –, sia quelli della Gls di Napoli. La solidarietà non è mai scontata, ma può essere anche facile, un post sui social e poco più. Per questo preferiamo gli incontri. Tre anni fa abbiamo organizzato un confronto in uno storico spazio anarchico milanese con alcuni di quelli che oggi scioperano. Alcuni di loro tre anni fa non lavoravano in libreria, erano freelance. Aspettando la partenza del corteo ci facciamo due chiacchiere: qualcuno ha fatto per anni da “consulente” con scrivania, con orario di lavoro, ma senza contratto per una casa editrice indipendente, qualcun altro ha migliaia di euro di crediti da una scuola di editoria che, mentre i founder riempiono il proprio feed Instragram di viaggi ai tropici, ha smesso di pagare i fornitori. C’è il ragazzo con il record di stage e la ragazza che ci racconta la volta che, da collaboratrice esterna di un’altra casa editrice con brand progressista, ha contrattato il proprio indegno compenso e si è vista proporre un magnanimo aumento di venti centesimi a pagina. Tutte persone con lauree e master che hanno abbandonato il lavoro freelance e sono finite a vendere libri in Feltrinelli. Alcune hanno ottenuto il tempo indeterminato, altre no: partecipano allo sciopero da clandestine, nel giorno di riposo. Le riconosci perché si sfilano opportunamente dalle foto. È la prima volta che hanno occasione di scioperare nella loro carriera editoriale e non se la sono fatta sfuggire.

Alle 11 abbiamo assorbito abbastanza radiazioni solari e partiamo per il breve percorso che prevede una tappa a Casa Feltrinelli, nuova sede della casa editrice e di altri uffici del gruppo, per concludersi sul cavalcavia Bussa, tozzo e grigio asfalto, da cui si vede buona parte dei grattacieli spuntati negli ultimi quindici anni a Milano. Feltrinelli ha anche un prestigioso patrimonio immobiliare, non solo tobleroni.

Alla partenza del corteo, con le bandiere che sventolano e i fumogeni che ci avvolgono, ci scambiamo un’occhiata perplessa: il fatto che dopo sei anni di Redacta non abbiamo ancora uno striscione, o almeno una bandierina, può essere spiegato con le particolarità sociologiche e organizzative del lavoro freelance, sì, ma rimane un peccato. La nostra borsina di tela con lo slogan “Belli i libri, ma la vita di più” fa comunque la sua discreta figura.

L’impasse viene superata grazie a una signora che distribuisce bandiere della Cgil, ci vede con le mani libere e ce ne porge una, la afferriamo con una certa convinzione e ci mettiamo a sventolare verso la sede della casa editrice. Dalle finestre dell’ultimo piano alcuni impiegati si sbracciano per salutare, non sono coinvolti direttamente nello sciopero perché sono inquadrati con un altro contratto integrativo. Altri aspettano in strada e si uniscono ai cori che partono dal corteo. Passano diversi minuti così, con canti, fumogeni, bandiere e gruppetti che chiacchierano da una parte, un palazzo tirato a lucido che si svuota pian piano di persone dall’altra.

Alla fine le adesioni allo sciopero in tutta Italia hanno avuto percentuali molto alte, secondo i sindacati tra l’ottanta e il novanta per cento, un successo. Lo scopriremo solo qualche ora dopo. Tra i parcheggi del cavalcavia Bussa ascoltiamo una delegata che legge una lettera di solidarietà dei lavoratori dell’Ikea, molto bella, e poi invita tutti a pranzare insieme nei dintorni. Noi abbiamo già ricominciato a guardare la mail, rispondiamo a caporedattrici e autori scombussolati dalla nostra assenza di risposte dalle 10 alle 12 di lunedì mattina: il file deve andare in stampa oggi pomeriggio, puoi ricontrollare le testatine? E queste ultime correzioni alla bibliografia, le puoi inserire? E questo titolo, ti convince?

Eravamo così concentrati sullo sciopero che non ci siamo accorti di aver smesso di lavorare. (mattia cavani)

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